UN’AVVENTURA DI MARCOVALDO

Ai lati dell’autostrada, i bambini videro il bosco: una folta vegetazione di strani alberi copriva la vista della pianura. Avevano i tronchi fini fini, diritti o obliqui; e chiome piatte e estese, dalle più strane forme e dai più strani colori, quando un’auto passando le illuminava coi fanali. Rami a forma di dentifricio, di faccia, di formaggio, di mano, di rasoio, di bottiglia, di mucca, di pneumatico, costellate da un fogliame di lettere dell’alfabeto.

Evviva! – disse Michelino, – questo è il bosco! E i fratelli guardavano incantati la luna spuntare tra quelle strane ombre: – Com’è bello…

IL BOSCO SULL’AUTOSTRADA

Questo racconto ci insegna che il venir meno della conoscenza della natura porta le nuove generazioni ad ignorarne il vero volto con conseguenze in questo caso comiche, ma potenzialmente molto pericolose …

 

RIASSUNTO

E’ inverno e a casa di Marcovaldo, in città, dove il freddo “taglia le vie coma la lama di un coltello”, è finita la legna per la stufa. Lui, la moglie e i figli indossano perciò i cappotti e cercano di riscaldarsi davanti alla stufa con quel poco che è rimasto, ma inutilmente.
Così Marcovaldo decide di andare a cercare legna, anche se sa che è difficile trovarla in città, ma è ottimista. Si dirige quindi verso il parco con una sega e dei giornali sotto il cappotto, per ripararsi dal vento gelido.
Intanto il figlio Michelino legge in una fiaba che un falegname va a tagliare la legna nel bosco. Così, nonostante egli non ne abbia mai visto uno, capisce che deve provare almeno anche lui ad aiutare la famiglia, quindi si dirige con i fratelli verso la periferia della città. Arrivati all’autostrada, scambiano la selva dei cartelloni pubblicitari che la costeggiano per un fitto bosco di strani alberi, vagamente simili a prodotti domestici, così ne abbattono uno e, una volta a casa, accendono un bel fuoco scoppiettante.
Quando Marcovaldo torna con qualche misero ramoscello raccolto nei parchi, vedendo che il legno compensato trovato dai figli brucia meglio, decide di andare a recuperarne un po’ anche lui nelle stesso posto.
Nonostante l’arrivo dell’agente Astolfo, allertato che alcuni presunti teppistelli stavano abbattendo cartelloni pubblicitari, Marcovaldo e i bambini possono continuare la loro opera indisturbati, perché Astolfo, essendo miope, scambia le figure della pubblicità per persone vere , e viceversa il vero Marcovaldo, arrampicato con la sua sega su una grosso cartellone a forma di  testa, gli sembra il simbolo del dolore da emicrania.  E per Marcovaldo la provvista di legna è assicurata.

 

 

Fumetto Marcovaldo "Il bosco sull'autostrada"

 

 

TESTO

Il freddo ha mille forme e mille modi di muoversi nel mondo: sul mare corre come una mandria di cavalli, nelle città come lama di coltello taglia le vie e infila le fessure delle case non riscaldate. A casa di Marcovaldo quella sera erano finiti gli ultimi stecchi, e la famiglia, tutta incappottata, guardava nella stufa impallidire le braci, e dalle loro bocche le nuvolette salire a ogni respiro. Non dicevano più niente; le nuvolette parlavano per loro: la moglie le cacciava come sospiri, i figlioli le soffiavano assorti come bolle di sapone, e Marcovaldo le sbuffava verso l’alto a scatti come lampi di genio che subito svaniscono.

Alla fine Marcovaldo si decise: – Vado per legna; chissà che non ne trovi -. Si cacciò quattro o cinque giornali tra la giacca e la camicia a fare da corazza contro i colpi d’aria, si nascose sotto il cappotto una lunga sega dentata, e così uscì nella notte, seguito dai lunghi sguardi speranzosi dei familiari.

Andare per legna in città: una parola! Marcovaldo si diresse subito verso un pezzetto di giardino pubblico che c’era tra due vie. Tutto era deserto. Marcovaldo studiava le nude piante a una a una pensando alla famiglia che lo aspettava battendo i denti…

Intanto il piccolo Michelino, battendo i denti, leggeva un libro di fiabe, preso in prestito alla bibliotechina della scuola. Il libro parlava d’un bambino figlio di un taglialegna, che usciva con l’accetta, per far legna nel bosco. – Ecco dove bisogna andare, – disse Michelino, – nel bosco! Lì sì che c’è la legna! – Nato e cresciuto in città, non aveva mai visto un bosco neanche di lontano.

Detto fatto, combinò coi fratelli: uno prese un’accetta, uno un gancio, uno una corda, salutarono la mamma e andarono in cerca di un bosco.

Camminavano per la città illuminata dai lampioni, e non vedevano che case: di boschi, neanche l’ombra. Incontravano qualche raro passante, ma non osavano chiedergli dov’era un bosco. Così giunsero dove finivano le case della città e la strada diventava un’autostrada.

Ai lati dell’autostrada, i bambini videro il bosco: una folta vegetazione di strani alberi copriva la vista della pianura. Avevano i tronchi fini fini, diritti o obliqui; e chiome piatte e estese, dalle più strane forme e dai più strani colori, quando un’auto passando le illuminava coi fanali. Rami a forma di dentifricio, di faccia, di formaggio, di mano, di rasoio, di bottiglia, di mucca, di pneumatico, costellate da un fogliame di lettere dell’alfabeto.

Evviva! – disse Michelino, – questo è il bosco! E i fratelli guardavano incantati la luna spuntare tra quelle strane ombre: – Com’è bello…

Michelino li richiamò subito allo scopo per cui erano venuti lì: la legna. Così abbatterono un alberello a forma di fiore di primula gialla, lo fecero in pezzi e lo portarono a casa.

Marcovaldo tornava col suo magro carico di rami umidi, e trovò la stufa accesa.

Dove l’avete preso? – esclamò indicando i resti del cartello pubblicitario che, essendo di legno compensato, era bruciato molto in fretta. – Nel bosco! – fecero i bambini. – E che bosco? Quello dell’autostrada. Ce n’è pieno!

Visto che era così semplice, e che c’era di nuovo bisogno di legna, tanto valeva seguire l’esempio dei bambini. Marcovaldo tornò a uscire con la sua sega, e andò sull’autostrada.

L’agente di vigilanza Astolfo della polizia stradale era un po’ corto di vista, e la notte, correndo in moto per il suo servizio, avrebbe avuto bisogno degli occhiali; ma non lo diceva, per paura d’averne un danno nella sua carriera.

Quella sera, viene denunciato il fatto che sull’autostrada un branco di monelli stava buttando giù i cartelloni pubblicitari. L’agente Astolfo parte d’ispezione. Ai lati della strada la selva di strane figure ammonitrici e gesticolanti accompagna Astolfo, che le scruta a una a una, strabuzzando gli occhi miopi. Ecco che, al lume del fanale della moto, sorprende un monellaccio arrampicato su un cartello. Astolfo frena: – Ehi! che fai lì, tu? Salta giù subito! – Quello non si muove e gli fa la lingua. Astolfo si avvicina e vede che è la reclamo d’un formaggino, con un bamboccione che si lecca le labbra. – Già, già, – fa Astolfo, e riparte a gran carriera. Dopo arriva ad un cartellone di una compressa contro l’emicrania con una gigantesca testa d’uomo, con le mani sugli occhi dal dolore. Astolfo passa, e il fanale illumina Marcovaldo arrampicato in cima, che con la sua sega cerca di tagliarsene una fetta. Abbagliato dalla luce, Marcovaldo resta lì immobile, aggrappato a un orecchio del testone, con la sega che è già arrivata a mezza fronte. Astolfo studia bene, dice: Quell’omino lassù con quella sega significa l’emicrania che taglia in due la testa! L’ho subito capito! – E se ne riparte soddisfatto.

Tutto è silenzio e gelo. Marcovaldo dà un sospiro di sollievo.

 

 

Qui di seguito “Il ragazzo della Via Gluck”, la celebre canzone presentata da Adriano Celentano al Festival di Sanremo del 1966, periodo segnato da una grande espansione edilizia che sostituisce ogni spazio verde con il cemento.

Lascia un commento